Cimitero del Commonwelth Faenza (Ra)
Cimitero del Commonwelth Faenza (Ra)
Cimitero Germanico Firenzuola Loc.Passo della Futa (Fi)
Cimitero Germanico Firenzuola Loc.Passo della Futa (Fi)
Cimitero dei Polacchi San Lazzaro di Savena (Bo)
Cimitero dei Polacchi San Lazzaro di Savena (Bo)
Monumento alla resistenza Imola (Bo)
La battaglia di “Little Cassino”
Credo che uno dei difetti dell’uomo sia la mancanza di memoria ed il guaio è che ne ha sempre meno! Forse per comodità, forse per il quieto vivere o per non voler soffrire l’uomo tende ha dimenticare il passato e ha chiudere gli occhi sul presente.
Passato inteso non solo quello relativo alla propria vita e sfera sentimentale, ma anche quello della propria collettività e del paese in cui vive.
L’uomo si propone sempre di non rifare gli errori del passato, pensa sempre di aver imparato la lezione e che il “domani” sarà meglio. L’uomo tende a colpevolizzare gli errori di pochi, giustificandosi in un modo o in nell’altro senza mai prendere atto degli eventi e del fatto che tutti siamo parte integrante del tutto.
Oggi gli anziani, i “vecchi”, tengono in pugno economicamente la nuova generazione, scaricano sui i giovani i loro errori per poi addirittura colpevolizzandoli definendoli “generazione X” e di non riuscire nella vita perché non conoscono sacrifici o la guerra e la fame.
I giovani oggi vivono in un momento difficile del paese nel quale l’economia stagnante non offre possibilità come quelle che hanno avuto i nostri genitori 50 anni fa. I giovani sono il futuro, la speranza di domani migliore e vanno guidati nel cammino della vita insieme ai vecchi che hanno vissuto.
Tutti dovremmo fare un passo indietro, fermaci a pensare su chi siamo, da dove veniamo e dove stiamo andando ed infine ricordare. Chi non ha passato non ha futuro.
Ed allora ho pensato di fare un “viaggio” tra i cimiteri di guerra nei dintorni di Imola per ricordare un dramma collettivo, quello della seconda guerra mondiale, l’ultima grande tragedia che in modo marcato si è avvertito sul nostro territorio e ha condizionato il nostro modo di vivere.
Ricordare inoltre tutti coloro che non hanno avuto un “dopo” perchè sono morti lontani da casa, sulle nostre colline, tra le nostre campagne. Ora hanno solo un nome su una lapide ma, chi erano e cosa sognavano non lo sapremo mai; Beati coloro che sopportano il dolore (i vivi, i sopravissuti) perché potranno esser consolati.
Sul nostro appennino a pochi chilometri da Imola, nell’autunno del 1944 si è svolta una dura battaglia quella della Linea Gotica, l’ultima difesa Tedesca in Italia settentrionale prima dei confini del terzo Reich Germanico. È stata una battaglia lunga e sanguinosa nella quale sono morti troppe persone: soldati di entrambi le fazioni e nel mezzo la popolazione civile locale.
Sono rimasto colpito per l’età giovane dei soldati sepolti, tutti i ragazzi e per il numero incredibile di nazioni e religioni che hanno partecipato sul nostro suolo al conflitto: Americani, Inglesi, Canadesi, Australiani, Zelandosi, Gallesi, Scozzesi, Irlandesi, Indiani, Polacchi, Brasiliani, Marocchini, Tedeschi ed Italiani. Per quello che ho visto… magari ce ne sono stati anche di più.
Ritengo che oggi siamo fortunati a non sapere cosa sia la paura delle bombe, dei rastrellamenti, l’odore delle case bruciate e la puzza della morte… sono tutte cose che si intravedono a malapena, in maniera impalpabile e sfuggente nei telegiornali.
Nella composizione delle foto ho cercato la prospettiva, le linee e per conferire drammaticità ai luoghi ripresi il monocromo, cercando sempre una buona composizione ed esposizione dell’immagine.
Storia degli avvenimenti avvenuti a Monte Battaglia
All’inizio dell’autunno del 1944 Monte Battaglia diventa teatro di guerra. Dal 27 settembre all’11 ottobre all’interno dei resti della rocca e lungo le pendici del monte si affrontano partigiani, americani ed inglesi da una parte e tedeschi dell’altra, in combattimenti tra i più cruenti della campagna dell’Italia. Sono avvenimenti dei quali hanno scritto molti autori, italiani e stranieri, con ricerche e studi che via via hanno delineato un quadro complesso nel quale non è raro incontrare notizie e valutazioni non collimanti.
Mentre l'VIII Armata britannica impegna le forze tedesche nella pianura riminese, il 10 settembre 1944 il comandante della V Armata statunitense, Mark Clark, sferra l'attacco contro la Linea Gotica, il sistema difensivo approntato dai tedeschi a nord di Firenze, da Pesaro a Massa, concentrando gli sforzi nel settore dei passi del Giogo e della Futa in direzione di Bologna. In conseguenza di questo sviluppo della campagna militare e dei primi successi degli alleati, il Comando Unico Militare Regionale della Resistenza invia da Bologna un ufficiale di collegamento al comando della 36ª Brigata Garibaldi, attestatasi nella vallata del Sintria, per illustrare le nuove direttive di marcia della brigata partigiana. Che, in sintesi, prevedono un suo trasferimento sulle linee di Faenza, Imola e Bologna in vista di un'azione che avrebbe dovuto, in sintonia con l'attacco alleato alla Linea Gotica, precedere e sorreggere l'insurrezione popolare e la liberazione di quelle città. Il giorno dopo il comandante Luigi Tinti (Bob) espone ai comandanti il suo piano che consistente nella suddivisione in quattro battaglioni, affidando a ciascuno una precisa direttrice. Al battaglione comandato da Carlo Nicoli è composto partigiani imolesi, viene affidata la direttrice Imola-Bologna con il compito primario di occupare il sistema orografico di Monte Battaglia, a cavaliere dello spartiacque tra la vallata del Senio e del Santerno. Un'area che dalle notizie in possesso dei partigiani, si trovava sulla linea di avanzamento della V Armata.
L'obiettivo di Nicoli era di assestarsi su posizioni tatticamente favorevoli da dove condurre un'azione di disturbo centrata su brevi scontri con i tedeschi nel tentativo di affievolirne le difese per favorire l'avanzata della linea del fronte alleato fino alla sua sovrapposizione con lo schieramento partigiano. Dopo di che, secondo i piani, si sarebbero dovute mantenere posizioni avanzate fino ad Imola.
Intanto, il 20 settembre, la V Armata USA aveva scavalcato l’Appennino tra il Passo della Futa e la Colla di Casaglia e di fronte a Mark Clark si presentavano due strade per raggiungere la pianura padana: la Statale 65 per Bologna e la Montanara in direzione di Imola. La scelta era caduta su quest’ultima, lungo la quale viene lanciata una delle migliori divisioni di fanteria statunitensi - la 88ª Blue Devils composta da tre reggimenti, il 349°, 350° e 351°- che dopo aver combattuto a Cassino ed essere entrata per prima a Roma il 4 giugno aveva goduto di un periodo di riposo.
L'avanzata lungo il crinale tra il Santerno ed il Senio, sul quale si trovava Monte Battaglia, era stata affidata al 350° Reggimento. Pur subendo qualche contraccolpo il 350° travolge le difese tedesche e procede speditamente lungo lo spartiacque, sopravanzando la I Divisione britannica che si muove lungo il parallelo crinale di destra del Senio, facendo balenare la possibilità dello scardinamento definitivo della Linea Gotica o Linea Verde, come la chiamavano i tedeschi. I quali vedevano concretizzarsi i loro timori, espressi dal comandante della X Armata, dopo che la V Armata aveva sfondato le linee germaniche al Passo del Giogo: "Se a quello là (cioè a Clark) viene in mente l'idea giusta di puntare su Imola, noi siamo in trappola".
La vallata del Santerno rappresentava infatti il punto più debole e vulnerabile dello schieramento tedesco perché era la strada più breve tra le forze alleate e la pianura padana; era la cerniera tra la X e la XIV Armata tedesca e, come altre zone, era stata in parte sguarnita per far fronte all'attacco scatenato dalla VIII Armata nel Riminese. Di fronte ai rischi creati dall'avanzata alleata sull'Appennino, il 23 settembre il feldmaresciallo Albert Kesselring, comandante delle forze armate germaniche in Italia, chiede ad Hitler l'autorizzazione ad applicare il piano Herbstnebel (Nebbia autunnale) che prevedeva l'abbandono dell'Italia centrale per approntare un'estrema difesa oltre il Po. Il Führer non autorizza l'arretramento, così che a Kesselring non rimane che tentare la difesa ad oltranza nella vallata del Santerno. Dove fa confluire uomini rastrellati da altri settori del fronte così che tra il Senio ed il Santerno vengono a trovarsi reparti di ben cinque Divisioni Granatieri della Wehrmacht con il compito di fermare l'avanzata dei Blue Devils.
E' il prologo della più lunga e cruenta delle battaglie combattute lungo la Linea Gotica, in una difficilissima situazione logistica a causa delle piogge e della nebbia che in quei giorni flagellano l'Appennino tosco romagnolo.
Il pomeriggio del 26 settembre sul Monte Battaglia iniziano a cadere colpi d'artiglieria sparati dagli americani i quali, occupati Monte Acuto ed il Monte del Puntale, sgombrano il campo per continuare l'avanzata che nel corso del pomeriggio li porta fino a Valmaggiore.
I tedeschi in ritirata si vengono a trovare sotto il fuoco delle compagnie partigiane attestate a Monte Carnevale e dopo un tentativo di reazione si disperdono. Ma nella notte riescono ad occupare il monte, tagliando il corridoio che si era aperto tra i Blue Devils e i partigiani della 36ª.
La mattina del 27 settembre Carlo Nicoli riunisce il comando del battaglione partigiano e propende per il collegamento con gli americani, pur consapevole delle incertezze sulle sorti della Brigata dopo il congiungimento, tenuto conto della difficile situazione in cui si trovavano i partigiani e dell'orientamento politico comunista della Brigata che non era certo ben visto dagli alleati.
Nel frattempo le operazioni militari vanno proprio in questo senso nel settore di Monte Carnevale, dove i fanti del 350° Reggimento USA risalgono le pendici dai lati opposti contro le postazioni germaniche.
Intanto anche i tedeschi hanno concentrato la loro attenzione su Monte Battaglia che, costituisce l'ultimo baluardo per fermare l'avanzata americana che oramai ha creato il panico nell'esercito germanico. Come testimonia la direttiva disperata emanata la sera del 26 settembre dal generale Heinrich von Vietinghoff, comandante della X Armata, che sprona i suoi uomini a tenere il Nord Italia a qualsiasi costo perché "la difesa dell'Italia è la difesa stessa della Germania".
Intanto anche i tedeschi hanno concentrato la loro attenzione su Monte Battaglia che, costituisce l'ultimo baluardo per fermare l'avanzata americana che oramai ha creato il panico nell'esercito germanico. Come testimonia la direttiva disperata emanata la sera del 26 settembre dal generale Heinrich von Vietinghoff, comandante della X Armata, che sprona i suoi uomini a tenere il Nord Italia a qualsiasi costo perché "la difesa dell'Italia è la difesa stessa della Germania".
Il compito di occupare Monte Battaglia è affidato al 290° Reggimento Granatieri che nel primo mattino del 27 settembre è a presidiare la zone, ma vengono respinti da tre compagnie dei Blue Devils che avevano appena completato lo schieramento difensivo.
Nella notte tra i 27 ed il 28 settembre i tedeschi riescono a riorganizzarsi e a rinforzare le loro file, ribaltando una gravissima situazione che durante il giorno aveva indotto Kesselring a chiedere per la seconda volta ad Hitler l'autorizzazione ad attuare il piano di ripiegamento Herbstnebel, il quale ancora una volta rifiuta per non privare la Germania delle preziose risorse agricole ed industriali del Nord Italia e per non dare una mazzata psicologica al popolo tedesco. Kesselring allora reagisce con la forza della disperazione ed affronta il rischio di indebolire altri settori del fronte pur di raccogliere truppe da lanciare alla conquista di Monte Battaglia.
Nella notte tra i 27 ed il 28 settembre i tedeschi riescono a riorganizzarsi e a rinforzare le loro file, ribaltando una gravissima situazione che durante il giorno aveva indotto Kesselring a chiedere per la seconda volta ad Hitler l'autorizzazione ad attuare il piano di ripiegamento Herbstnebel, il quale ancora una volta rifiuta per non privare la Germania delle preziose risorse agricole ed industriali del Nord Italia e per non dare una mazzata psicologica al popolo tedesco. Kesselring allora reagisce con la forza della disperazione ed affronta il rischio di indebolire altri settori del fronte pur di raccogliere truppe da lanciare alla conquista di Monte Battaglia.
La mattina del 28 settembre nello scacchiere di Monte Battaglia per americani e tedeschi s'invertono i ruoli. I primi, da attaccanti si ritrovano in posizione difensiva con i tre battaglioni del 350° Reggimento attestati rispettivamente tra Monte Battaglia e Monte Carnevale ma a causa della nebbia, i tedeschi si ritirano nelle loro posizioni di partenza, aprendo un nutrito fuoco di artiglieria sulle postazioni degli alleati e dei partigiani.
Spinti dalla difficile situazione il comandante Nicoli prende contatto con Williamson, comandante del 350° Reggimento, per definire la questione dell'inquadramento dei partigiani tra le file degli alleati, ma il comando della 88ª Divisione aveva imposto il ritiro dei partigiani dal fronte, in ottemperanza ad una linea di condotta seguita dalla V Armata USA.
Finisce qui l'attività dei partigiani a Monte Battaglia che in tre giorni di combattimenti era costata al battaglione una dozzina di feriti, un disperso ed otto morti, dei quali cinque uccisi da granate di artiglieria e tre in combattimento. E' il prezzo pagato per un impegno non marginale dal punto di vista militare, come aveva riconosciuto il comandante della X Armata, von Vie-tinghoff, parlando con Kesselring la mattina del 27 settembre: "Nel settore 36 (settore San Rufillo-Monte Battaglia, n.d.r.) dà sempre molto da fare alle nostre truppe una banda molto ben condotta, bene armata e bene organizzata che ci attacca sempre in combattimento dalle retrovie". Ancora più importante è il valore simbolico dell'aver combattuto, sia pure casualmente e per un breve periodo, fianco a fianco, con i fanti americani.
Così che, nel tardo pomeriggio del 28 settembre, la lunga fila dei partigiani della 36ª prende la strada per Valmaggiore, incrociando reparti americani che vanno a rinforzare le loro posizioni su Monte Battaglia dove intanto sono divampati violentissimi i combattimenti.
All'alba del 29 settembre l'artiglieria alleata effettua un imponente fuoco di sbarramento per dar modo al 350° Reggimento di riorganizzarsi e di rimuovere i morti e i feriti, ma ben presto i tedeschi, preceduti dal fuoco delle artiglierie, tornano all'attacco con tre battaglioni travolgendo gli avamposti ed ingaggiando un furioso combattimento con i fanti americani asserragliati tra i resti della rocca. Facendosi largo con i lanciafiamme una compagnia tedesca riesce a penetrare tra i resti della rocca dove vengono ingaggiati furiosi corpo a corpo che costringono gli americani a ritirarsi nei pressi della Croce.
I granatieri germanici non riescono però a consolidare la loro posizione a causa del fuoco di sbarramento scatenato da tutta l'artiglieria della 88ª Divisione. Il bombardamento, che prosegue per un paio d'ore senza limiti di munizioni, impedisce ad altre forze germaniche di raggiungere l'avamposto che rimane isolato e permette ai Blue Devils di riorganizzarsi e contrattaccare. A metà giornata i fanti americani risalgono il monte sparando e lanciando bombe a mano. Riescono così ad annientare la difesa tedesca e a rioccupare la cima di Monte Battaglia ma lasciando molti uomini sul terreno, mescolati nel fango ai corpi dei nemici uccisi.
Nel pomeriggio i tedeschi attaccano di nuovo aprendosi la strada, ma i fanti statunitensi riescono a tenere la posizione grazie al tiro ravvicinato dei mortai. Verso sera la posizione degli americani si rafforza con la dislocazione nel settore di Monte Battaglia dei tre battaglioni del 350° Reggimento che vengono protetti alle spalle dagli altri due reggimenti della 88ª Divisione.
Spinti dalla difficile situazione il comandante Nicoli prende contatto con Williamson, comandante del 350° Reggimento, per definire la questione dell'inquadramento dei partigiani tra le file degli alleati, ma il comando della 88ª Divisione aveva imposto il ritiro dei partigiani dal fronte, in ottemperanza ad una linea di condotta seguita dalla V Armata USA.
Finisce qui l'attività dei partigiani a Monte Battaglia che in tre giorni di combattimenti era costata al battaglione una dozzina di feriti, un disperso ed otto morti, dei quali cinque uccisi da granate di artiglieria e tre in combattimento. E' il prezzo pagato per un impegno non marginale dal punto di vista militare, come aveva riconosciuto il comandante della X Armata, von Vie-tinghoff, parlando con Kesselring la mattina del 27 settembre: "Nel settore 36 (settore San Rufillo-Monte Battaglia, n.d.r.) dà sempre molto da fare alle nostre truppe una banda molto ben condotta, bene armata e bene organizzata che ci attacca sempre in combattimento dalle retrovie". Ancora più importante è il valore simbolico dell'aver combattuto, sia pure casualmente e per un breve periodo, fianco a fianco, con i fanti americani.
Così che, nel tardo pomeriggio del 28 settembre, la lunga fila dei partigiani della 36ª prende la strada per Valmaggiore, incrociando reparti americani che vanno a rinforzare le loro posizioni su Monte Battaglia dove intanto sono divampati violentissimi i combattimenti.
All'alba del 29 settembre l'artiglieria alleata effettua un imponente fuoco di sbarramento per dar modo al 350° Reggimento di riorganizzarsi e di rimuovere i morti e i feriti, ma ben presto i tedeschi, preceduti dal fuoco delle artiglierie, tornano all'attacco con tre battaglioni travolgendo gli avamposti ed ingaggiando un furioso combattimento con i fanti americani asserragliati tra i resti della rocca. Facendosi largo con i lanciafiamme una compagnia tedesca riesce a penetrare tra i resti della rocca dove vengono ingaggiati furiosi corpo a corpo che costringono gli americani a ritirarsi nei pressi della Croce.
I granatieri germanici non riescono però a consolidare la loro posizione a causa del fuoco di sbarramento scatenato da tutta l'artiglieria della 88ª Divisione. Il bombardamento, che prosegue per un paio d'ore senza limiti di munizioni, impedisce ad altre forze germaniche di raggiungere l'avamposto che rimane isolato e permette ai Blue Devils di riorganizzarsi e contrattaccare. A metà giornata i fanti americani risalgono il monte sparando e lanciando bombe a mano. Riescono così ad annientare la difesa tedesca e a rioccupare la cima di Monte Battaglia ma lasciando molti uomini sul terreno, mescolati nel fango ai corpi dei nemici uccisi.
Nel pomeriggio i tedeschi attaccano di nuovo aprendosi la strada, ma i fanti statunitensi riescono a tenere la posizione grazie al tiro ravvicinato dei mortai. Verso sera la posizione degli americani si rafforza con la dislocazione nel settore di Monte Battaglia dei tre battaglioni del 350° Reggimento che vengono protetti alle spalle dagli altri due reggimenti della 88ª Divisione.
Il primo giorno d'ottobre è ancora una giornata nebbiosa. E i tedeschi attaccano di nuovo. Fra i reparti della 715ª Divisione c'è anche una compagnia del Battaglione Bersaglieri Goffredo Mameli della RSI che rimane in linea un solo giorno nel versante del Santerno, ma ancora una volta vengono respinti. Sul monte oramai sono più i morti e i feriti che gli uomini in grado di combattere. I quali, oltre agli assalti, devono subire gli incessanti colpi delle artiglierie e dei mortai: in tre ore gli americani ne contano 400. A questo punto si prospetta l'avvicendamento tra gli inglesi e il 350° Reggimento che accusa gravissime perdite non rimpiazzate e con i sopravvissuti allo stremo delle forze. Ma, tra il primo ed il 2 ottobre, deve ancora fronteggiare altri attacchi nemici con reparti della 305ª, 44ª e 715ª Divisione germanica mandati all'assalto in rapide puntate sotto il fuoco di protezione delle artiglierie piazzate tra Fontanelice e Casola Valsenio.
Così fino alla notte tra il 4 e 5 ottobre, quando un battaglione della I Brigata Guardie del Regno Unito, composta da granatieri e guardie gallesi, occupa le posizioni del 350° Reggimento americano. Che da questo momento si chiamerà Battle Mountain (Monte Battaglia). Perché, come verrà ribadito l'anno dopo in occasione delle celebrazioni per il primo anniversario dei combattimenti, "Per gli uomini del 350° Reggimento della 88ª Divisione Blue Devils, Monte Battaglia significa il luogo della più feroce di tutte le battaglie da loro combattute in Italia. Significa pioggia, fango, nebbia e bombardamento costante. Significa sette giorni e sette notti di lotta che si fusero insieme per formare una sola, unica, continua battaglia". Che al 350° Reggimento era costata ben 235 caduti in azione, 277 dispersi e 908 feriti. E che aveva visto numerosi atti di eroismo: primo fra tutti quello del comandante della Compagnia "G", il capitano Robert Roeder, insignito alla memoria della più alta onorificenza militare americana.
Da parte tedesca le perdite risultano superiori - circa duemila - ma Kesselring è contento lo stesso, perché è riuscito a bloccare l'avanzata americana su Imola ed ha salvato il suo esercito in Romagna. E nelle sue memorie scriverà: "Avevamo potuto tenere gli ultimi crinali dell'Appennino solo per miracolo". Un miracolo che aveva permesso di superare il momento più nero della loro campagna in Italia, infrangendo il sogno balcanico di Churchill.
Così fino alla notte tra il 4 e 5 ottobre, quando un battaglione della I Brigata Guardie del Regno Unito, composta da granatieri e guardie gallesi, occupa le posizioni del 350° Reggimento americano. Che da questo momento si chiamerà Battle Mountain (Monte Battaglia). Perché, come verrà ribadito l'anno dopo in occasione delle celebrazioni per il primo anniversario dei combattimenti, "Per gli uomini del 350° Reggimento della 88ª Divisione Blue Devils, Monte Battaglia significa il luogo della più feroce di tutte le battaglie da loro combattute in Italia. Significa pioggia, fango, nebbia e bombardamento costante. Significa sette giorni e sette notti di lotta che si fusero insieme per formare una sola, unica, continua battaglia". Che al 350° Reggimento era costata ben 235 caduti in azione, 277 dispersi e 908 feriti. E che aveva visto numerosi atti di eroismo: primo fra tutti quello del comandante della Compagnia "G", il capitano Robert Roeder, insignito alla memoria della più alta onorificenza militare americana.
Da parte tedesca le perdite risultano superiori - circa duemila - ma Kesselring è contento lo stesso, perché è riuscito a bloccare l'avanzata americana su Imola ed ha salvato il suo esercito in Romagna. E nelle sue memorie scriverà: "Avevamo potuto tenere gli ultimi crinali dell'Appennino solo per miracolo". Un miracolo che aveva permesso di superare il momento più nero della loro campagna in Italia, infrangendo il sogno balcanico di Churchill.
Con l'arrivo degli inglesi su Monte Battaglia i combattimenti si fanno meno intensi e cruenti. Sia perché nei primi giorni di ottobre Clark sposta l'asse principale dell'attacco lungo la Statale 65 che dal Passo della Futa porta a Bologna, sia perché i tedeschi vengono impegnati anche sul crinale a destra del Senio, lungo il quale avanza la I Divisione di fanteria inglese seguendo la direttiva "Freccia", un percorso che da Marradi, tocca Palazzuolo sul Senio e poi serpeggia fino alla Via Emilia. Invece a Monte Battaglia le Guardie inglesi limitano le perdite grazie anche ad una tattica di combattimento molto diversa da quella degli americani, a riguardo il generale John Nelson ha scritto nel suo diario: “I soldati americani non si erano trincerati molto bene. Forse essi non pensavano fosse utile sul momento in cui venivano colpiti e comunque le "tane di volpe" che esistevano erano piene d'acqua piovana. Era veramente una situazione critica ed io capivo che qualsiasi uomo non poteva rimanere in piena efficienza di combattimento dopo settantadue ore in quelle condizioni. Perciò decisi di presidiare la collina con due compagnie soltanto e rilevarle con altre ogni tre notti. Esse avrebbero dovuto essere sostenute dai mortai, dalle mitragliatrici e dal tiro dell'artiglieria. Si sarebbero dovute circondare con filo spinato e da campi minati e scavare trincee profonde e asciugabili. (...) Le nostre perdite furono limitate ad una media di sei uomini al giorno, un considerevole miglioramento sul pedaggio pagato dai nostri predecessori americani”.
Le forze inglesi devono infatti sottostare ad un fuoco di artiglieria di micidiale precisione che, durante il giorno, costringe gli uomini che presidiano il monte a vivere acquattati nelle loro trincee. Una situazione che fa salire la tensione al punto che un ufficiale inglese urla: "All'inferno! Se vogliono questo maledetto monte, se lo prendano. A noi non serve!". Ma ogni volta che i tedeschi tentano la conquista di Monte Battaglia le guardie si difendono strenuamente. Fino a mettere fine ai combattimenti per la conquista di Monte Battaglia, lasciando il campo a schermaglie tra avamposti e pattuglie in ricognizione, intervallate da scariche d'artiglieria.
E quando, a novembre, i tedeschi posizionano la loro linea difensiva lungo la Vena dei Gessi, circa otto chilometri più a nord, su Monte Battaglia cala il silenzio della morte.
Come ricorda Guido Ricciardelli, membro del CLN di Casola Valsenio, nella sua cronaca Casola piccola Cassino nella valle del Senio alla data del 9 gennaio 1945, quando, con due accompagnatori, sale a Monte Battaglia:
Il terreno era coperto da un leggerissimo strato di neve che biancheggiava solo sul più alto crinale. Appena giunto dalle Braiole al bivio della Canovaccia ove la strada biforcandosi va verso Valmaggiore e verso Monte Battaglia, gli amici accompagnatori mi hanno indicato dove era sepolto un partigiano sconosciuto, per informazioni ricevute da compagni partigiani di combattimento sapevo che era Dardi Vittorio di Casola Valsenio. Sono andato a vedere: era lassù mal sepolto da un lieve strato di terra, una mano era stata scoperta da un rigagnolo d'acqua della neve in scioglimento, su una rozza croce stava scritto: partigiano sconosciuto. Più avanti, oltre i ruderi della casa denominata Croce, vi erano sepolti due tedeschi con i piedi scoperti. Mi hanno detto che sono stati scoperti da un signore di Imola in cerca di suo figlio disperso nei pressi della Croce, al quale mancavano due falangette nei piedi. Nel pendio roccioso del monte, in tutte le postazioni, vi sono sepolti degli inglesi, mentre diversi tedeschi sono soltanto coperti dal lieve strato di neve: sul crinale più alto, dove si erge gigante e maestoso l'invitto torrione che ha resistito a tante furibonde tempeste, addossato al quale stava prima una piccola casetta per il colono ridotta ad un cumulo di macerie frammiste ad armi spezzate, a cadaveri in putrefazione, l'aia che aveva servito per la trebbiatura del grano nel passato, si era trasformata in un macabro groviglio di armi rotte ed arrugginite di tutti i contendenti morti, dilaniati dal ferro e dal fuoco: giacevano sotto il bianco velo di neve che li copriva indistintamente. Mortai d'assalto, mitraglie, fucili, bombe esplose ed inesplose stavano lì a testimoniare la ferocia umana, allorché il sentimento umano diventa belluino, la bocca rostro e le mani artiglio. Al lato destro, sopra le macerie della casa colonica crollata, vi è un irriconoscibile morto posto a sedere col ventre squarciato. Al lato nord, frammisti alle macerie crollate del torrione, vi sono cinque inglesi od americani riconoscibili dal vestito kachi: più in basso verso est del torrione ve ne era uno sdraiato a terra con le mani strette al ventre, forse dissanguatosi lentamente in una agonia atroce, invocando i suoi cari così lontani. A pochi metri di distanza un altro inglese è ancora inginocchiato nella postazione in atteggiamento di sparare con la sua mitragliatrice: vi mancano la testa ed il braccio sinistro staccati dal corpo e balzati lì poco distante, forse recisi da un proiettile di artiglieria. Più in basso, sotto il sentiero che conduce al fondo Bosco di San Rufillo, tre tedeschi accovacciati in un piccolo antro: due dei quali abbracciati assieme, giacevano nel sonno eterno della morte. Sopra lo stesso sentiero; nascosti in una caspa di carpino , ve ne erano altri due; poco più in là vi era l'americano Amos Arnold. Dal lato verso Valcollina vi è un elmetto tedesco entro il quale, sostenuto dal sottogola, vi è ancora la testa nettamente recisa dal corpo; lì poco distante una croce sulla quale in lingua inglese è scritto il nome di un tedesco. Per il culto della tomba, il combattente aveva sepolto il nemico caduto. In mezzo a tante barbarie, a tante sciagure, mi sento umiliato di appartenere al genere umano: la carne straziata e dilaniata, il sangue sparso inutilmente nell'orrore esecrando della guerra mi fa inorridire.
Il terreno era coperto da un leggerissimo strato di neve che biancheggiava solo sul più alto crinale. Appena giunto dalle Braiole al bivio della Canovaccia ove la strada biforcandosi va verso Valmaggiore e verso Monte Battaglia, gli amici accompagnatori mi hanno indicato dove era sepolto un partigiano sconosciuto, per informazioni ricevute da compagni partigiani di combattimento sapevo che era Dardi Vittorio di Casola Valsenio. Sono andato a vedere: era lassù mal sepolto da un lieve strato di terra, una mano era stata scoperta da un rigagnolo d'acqua della neve in scioglimento, su una rozza croce stava scritto: partigiano sconosciuto. Più avanti, oltre i ruderi della casa denominata Croce, vi erano sepolti due tedeschi con i piedi scoperti. Mi hanno detto che sono stati scoperti da un signore di Imola in cerca di suo figlio disperso nei pressi della Croce, al quale mancavano due falangette nei piedi. Nel pendio roccioso del monte, in tutte le postazioni, vi sono sepolti degli inglesi, mentre diversi tedeschi sono soltanto coperti dal lieve strato di neve: sul crinale più alto, dove si erge gigante e maestoso l'invitto torrione che ha resistito a tante furibonde tempeste, addossato al quale stava prima una piccola casetta per il colono ridotta ad un cumulo di macerie frammiste ad armi spezzate, a cadaveri in putrefazione, l'aia che aveva servito per la trebbiatura del grano nel passato, si era trasformata in un macabro groviglio di armi rotte ed arrugginite di tutti i contendenti morti, dilaniati dal ferro e dal fuoco: giacevano sotto il bianco velo di neve che li copriva indistintamente. Mortai d'assalto, mitraglie, fucili, bombe esplose ed inesplose stavano lì a testimoniare la ferocia umana, allorché il sentimento umano diventa belluino, la bocca rostro e le mani artiglio. Al lato destro, sopra le macerie della casa colonica crollata, vi è un irriconoscibile morto posto a sedere col ventre squarciato. Al lato nord, frammisti alle macerie crollate del torrione, vi sono cinque inglesi od americani riconoscibili dal vestito kachi: più in basso verso est del torrione ve ne era uno sdraiato a terra con le mani strette al ventre, forse dissanguatosi lentamente in una agonia atroce, invocando i suoi cari così lontani. A pochi metri di distanza un altro inglese è ancora inginocchiato nella postazione in atteggiamento di sparare con la sua mitragliatrice: vi mancano la testa ed il braccio sinistro staccati dal corpo e balzati lì poco distante, forse recisi da un proiettile di artiglieria. Più in basso, sotto il sentiero che conduce al fondo Bosco di San Rufillo, tre tedeschi accovacciati in un piccolo antro: due dei quali abbracciati assieme, giacevano nel sonno eterno della morte. Sopra lo stesso sentiero; nascosti in una caspa di carpino , ve ne erano altri due; poco più in là vi era l'americano Amos Arnold. Dal lato verso Valcollina vi è un elmetto tedesco entro il quale, sostenuto dal sottogola, vi è ancora la testa nettamente recisa dal corpo; lì poco distante una croce sulla quale in lingua inglese è scritto il nome di un tedesco. Per il culto della tomba, il combattente aveva sepolto il nemico caduto. In mezzo a tante barbarie, a tante sciagure, mi sento umiliato di appartenere al genere umano: la carne straziata e dilaniata, il sangue sparso inutilmente nell'orrore esecrando della guerra mi fa inorridire.
Finita la seconda guerra mondiale, Monte Battaglia è per americani e tedeschi il luogo dei combattimenti tra i più duri e sanguinosi sostenuti in Italia. Per gli italiani ed in particolare per le popolazioni delle vallate del Senio e del Santerno, che avevano seguito i combattimenti attraverso il fragore e i bagliori dei bombardamenti, rappresenta un simbolo ed un passo importante del cammino verso la liberazione dal nazifascismo; un passo per il quale la 88^ Divisione Blue Devils aveva pagato un tributo altissimo.